Carissime, incuriosita dai commenti di Cristina durante l’ultimo incontro, ho letto “Maruzza Musumeci” di Camilleri. Si tratta, più che di un romanzo, di un racconto piacevolissimo ,da leggere tutto d’un fiato in un pomeriggio, che dimostra ancora una volta come Camilleri, anche se non produce capolavori letterari, sia veramente uno scrittore molto abile. A me piace molto il suo modo di scrivere e leggo con piacere i suoi romanzi, sia quelli del filone poliziesco che quelli “storici” ambientati alla fine dell’800 o all’inizio del ‘900 nell’immaginario paese di Vigata.
“Maruzza Musumeci” appartiene a quest’ultimo filone, non si tratta del genere “romanzo storico” vero e proprio perché i riferimenti storici sono solo una cornice per rendere più vivo il racconto. Piuttosto è un racconto che si rifà alla tradizione orale contadina, l’Autore la definisce una favola, in cui realtà, fantasia e poesia si intrecciano.
Inizia come una novella verista, con la descrizione della cruda realtà dei braccianti siciliani di fine ‘800 per sfuggire alla quale Gnazio emigra in America, ma quando ritorna al suo paese, la narrazione abbandona il tono iniziale per entrare nel mito. Il mito viene ripreso in modo esplicito riportando nel testo i versi in greco tratti da alcuni libri dell’Odissea, ma non mancano altri riferimenti letterari come Andersen, Soldati, Tomasi di Lampedusa. Il tema non è nuovo, ma il racconto è fortemente permeato di sentimento e soprattutto di umanità. La lingua usata è il siciliano con una musicalità delle parole che ben si adatta al tema trattato e che fa percepire con intensità i colori ed i profumi di questa terra. Probabilmente il mio giudizio sarà influenzato positivamente dai ricordi della mia infanzia, comunque vi consiglio di leggerlo.
Se vi piace il modo di scrivere di Camilleri, sempre rimanendo nel filone “storico” vi consiglio “Un filo di fumo”, un piccolo romanzo che ho riletto subito dopo “ Maruzza Musumeci”. In analogia a “Madama Butterfly” il filo di fumo del titolo è quello di una nave che i cittadini di Vigata aspettano con ansia scrutando l’orizzonte. Qui però l’amore c’entra poco, è in ballo la probabile rovina di un commerciante di zolfo vissuta in modo completamente diverso dalla sua famiglia e dai concittadini: ovviamente non vi svelo il finale per non togliervi la sorpresa. L’azione si svolge praticamente tutta in un unico giorno (il 18 settembre 1890), raccontata in un unico capitolo in cui i vari paragrafi si succedono con un mutamento continuo di scena.
Lo sfondo storico è quello post-unità d’Italia con le sue delusioni, il contesto sociale è descritto mirabilmente con ironia, differenziando quelli che contano, ma che non per questo sono migliori, da quelli che invece socialmente non contano niente, i personaggi sono rappresentati argutamente in modo talmente realistico da imprimersi nella memoria. Alcuni di essi non sono originali (vedendo il piemontese sconcertato dalle dinamiche che si stanno svolgendo nel paese come non pensare al “Gattopardo”?), ma altri sono eccezionali. Particolare ad esempio il contrasto tra i due preti, ciascuno espressione di una diversa tipologia di Chiesa.
La lingua naturalmente è anche qui il siciliano arricchito da una serie di proverbi e modi di dire, espressione della saggezza popolare, che caratterizzano ulteriormente il contesto: non vi preoccupate però, per chi non ha radici specifiche e quindi non potrebbe coglierne a pieno il significato, in fondo al libro c’è un piccolo dizionario!
Ciao
Rosa