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venerdì 23 dicembre 2011

La zia marchesa

E' il titolo del secondo romanzo di Simonetta Agnello Hornby, che con la Mennulara e Boccamurata costituisce una vera e propria trilogia.
Il romanzo è ambientato nella seconda metà dell'ottocento in Sicilia, nell'ambiente dell'aristocrazia terriera. La società è in preda a profondi mutamenti: il crollo del regno borbonico, la vendita dei beni ecclesiastici, il potere progressivamente assunto dalla mafia indeboliscono progressivamente la stessa aristocrazia. In questo contesto si svolgono le vicende di Costanza Safamita, figlia prediletta del barone Domenico, odiata peraltro dalla madre Caterina.
La voce narrante è quella di Amalia Cuffaro, la balia, che si alterna alla narrazione in terza persona. Costanza, prescelta dal padre per ereditare e gestire gli averi di famiglia, è costretta a cercare marito e si innamora di Pietro, nobile spiantato e poco o nulla attratto dalla moglie, che tuttavia sposa per necessità. Attraverso la difficile relazione col marito Costanza crescerà e acquisterà una nuova consapevolezza.
All'inizio di ogni capitolo l'autrice inserisce un proverbio siciliano; il siciliano, dice la Hornby, è la lingua della tenerezza, della rabbia e della saggezza, una lingua intima e domestica.

Prossimo incontro il 27 Gennaio 2012. Buon Natale Buon Anno!

domenica 11 dicembre 2011

Non tutti i bastardi sono di Vienna

Carissime, oggi vi propongo invece alcune riflessioni su un altro libro molto bello che ho letto in questo periodo, “Non tutti i bastardi sono di Vienna”, vincitore del premio Campiello di questo anno. Di solito sono un po’ prevenuta verso i vincitori dei premi letterari perché molte volte sono rimasta fortemente delusa, ma anche questa non è una regola assoluta, il titolo era intrigante e soprattutto la casa editrice era Sellerio, per cui non ho potuto fare a meno di acquistarlo. Una scelta giusta perché il libro è veramente bello, vale la pena leggerlo. Non conoscevo l’Autore, Andrea Molesini, per cui mi sono documentata e vi riporto quello che ho trovato : è docente all'Università di Padova di Letteratura Italiana Contemporanea, è uno degli autori per ragazzi più conosciuti e tradotti, ha curato e tradotto opere di poeti americani come ad esempio Ezra Pound. Insomma, anche se questo è il suo primo romanzo non è uno sprovveduto e questo si sente nella scrittura bella e scorrevole, nella capacità di coinvolgere il lettore e di non essere banale. Trattandosi di un romanzo storico ambientato durante la Prima Guerra Mondiale, in particolare tra il 1917 e il 1918, tra la disfatta di Caporetto e la battaglia del Piave, era facile cadere nella retorica e negli stereotipi: Molesini invece a mio avviso è riuscito a essere originale, a partire dal titolo, ma anche nello svilupparsi del racconto. L’ambientazione non è rappresentata dalla trincea, ma da una villa signorile, Villa Spada, che trovandosi nelle vicinanze del fronte viene proiettata violentemente all’interno della guerra attraverso la requisizione della casa da parte prima dell’esercito tedesco e poi di quello austriaco. Sono i vincitori che dettano la loro legge sul vinto e svegliarsi con il nemico in casa, pranzare con lui, diventare ospiti del nemico nella propria casa, imprime una forte spinta alla crescita di Paolo, il giovane diciassettenne, voce narrante del romanzo. Intorno a lui una bellissima galleria di personaggi, vividi e reali, il nonno Guglielmo che si finge scrittore continuando a battere i tasti della sua “Belzebù”, la nonna Nancy intelligente e coraggiosa , la zia Maria fiera e nobile d’animo, il misterioso custode Renato, la cuoca Teresa con la figlia Loretta, la sensuale Giulia dai capelli rossi, il parroco, i popolani, forse più lontani dal mondo dei signori rispetto ai nemici, il capitano Korpium e il barone von Feilitzsch. Drammi piccoli e grandi si susseguono in un crescendo di violenza perché ogni brutalità innesca una spirale difficile da fermare. La guerra viene vista in tutta la sua crudeltà e insensatezza, stravolge tutto, la vita dei popoli e la vita delle persone, dopo la guerra infatti niente sarà più come prima per nessuno. Il Piave in piena sarà l’ultimo baluardo di un impero, quello austro-ungarico, che sta per crollare, cambiando il volto dell’intera Europa. “Le vostre parole, generale, mi toccano davvero” disse la zia fra lo stupore di tutti “perché anche voi, come me, vivete in un mondo che non c’è più” . E’ la fine dei privilegi di un’aristocrazia secolare, l’avvento di nuove classi sociali, ma anche questo cambiamento non muterà l’uomo e alla fine già si palesa lo spettro di una nuova guerra. Anche Paolo, prima semplice spettatore, è costretto a crescere, a confrontarsi con la morte “Pensavo allo sfacelo della seconda armata, più che alla villa invasa, ripensavo a quel fiume ininterrotto di contadini e di fanti: i carri dei poveri, le auto dei generali, i feriti abbandonati nei fossi. Non avevo mai visto tanti occhi devastati dal terrore. Gli occhi delle donne con i fagotti al collo, fagotti inerti, e fagotti gementi; non riuscivo a credere che il dolore di tutto un popolo in fuga, a cui fino allora non mi ero reso conto di appartenere, potesse toccarmi così dentro, e diventare mio, il mio dolore”. Un romanzo di guerra? O forse di formazione? Un romanzo storico? Un affresco d’epoca? Forse tutte queste cose o forse un romanzo semplicemente sull’Uomo, sulle sue virtù come la dignità, la fierezza, l’eroismo, l’altruismo, il coraggio, ma anche sulle sue debolezze, le sue paure, la sua fragilità, che si trovano da entrambe le parti perché del resto non tutti i bastardi sono di Vienna. Ciao a tutte. Rosa

venerdì 9 dicembre 2011

Incontro natalizio

Ciao a tutte,

so che Rosa è ammalata e le faccio l'augurio di pronta guarigione; spero che almeno riesca a leggere, tanto per trovare un lato positivo nella malattia...

Ricordo che abbiamo fissato l'incontro per il 16; la proposta è quella di portare ciascuna un libro e scambiarcelo per regalo. Che ne dite? L'idea è di Grazia e a me sembra veramente simpatica!
A presto
Gloria

martedì 6 dicembre 2011

Pastorale Americana

Un libro interessante “Pastorale americana” di Philip Roth, un libro che forse dovrebbe però essere riletto con calma per coglierne gli aspetti più profondi, il rischio è altrimenti quello di fermarsi a una lettura che consente di rilevare solo quello che c’è in superficie. Premetto che non conosco Roth né ho letto gli altri due libri della trilogia sull’America per cui il mio commento, oltre che soggettivo come sempre, non può non risentire di questa carenza conoscitiva. Difficile anche identificare di cosa vuole effettivamente parlare l’Autore, sicuramente dell’America in un affresco che copre tre generazioni, dal primo novecento agli anni ’90 così come del sogno americano e del suo infrangersi, ma questa forse è la parte solo più evidente, ma non la più pregnante. Altri scrittori hanno a mio avviso descritto molto meglio questi aspetti e, così, a caldo, mi viene subito in mente ad esempio “Uomini e topi” di Steinbeck. Qui in realtà, al centro del romanzo, c’è sempre lui, lo Svedese. Già l’incipit, composto solo di due parole, “Lo Svedese”, ce lo svela subito. Roth attraverso il suo alter ego letterario, Nathan Zuckerman, descrive subito, nella prima parte del romanzo “Paradiso ricordato”, la sua storia. Lo Svedese, conosciuto da Nathan ai tempi della scuola, ha tutto per essere una figura unica ed eccezionale: è ebreo, ma si discosta fisicamente dagli stereotipi del tipico ebreo tanto a somigliare a un nordico, è bellissimo, ricco, brillante nello sport, amato da tutti. Cittadino modello si arruola nei marines, figlio modello rifiuta un contratto con una squadra importante per entrare nell’azienda del padre. Un matrimonio con una ragazza non ebrea, candidata al titolo di miss America, completa il quadro. Una vita semplice e comune, in linea con i valori americani. L’Autore cita un paragone letterario"La vita di Ivan Il'ic, scrive Tolstoj, (...) era stata molto semplice e molto comune, e perciò terribile . Forse. Forse nella Russia del 1886. Ma a Old Rimrock, New Jersey, nel 1995, quando tutti gli Ivan Il'ic vanno a frotte a mangiare al club dopo le buche del golf mattutino e, esultanti, si mettono a cantare: «Non potrebbe andar meglio di così», forse sono assai più vicini alla verità di quanto lo sia mai stato Lev Tolstoj. La vita di Levov lo Svedese, per quanto ne sapevo io, era stata molto semplice e molto comune, e perciò bellissima, perfettamente americana." Un vero mito lo Svedese per Nathan che continua a ricordarlo con gli occhi del bambino di dieci anni, ma che, a distanza ormai di molti anni, si ritrova invece deluso di fronte a un uomo invecchiato, con un divorzio alle spalle, tre figli di cui essere orgoglioso, una caricatura con un sorriso stereotipato con il quale non riesce ad avere che una conversazione banale e di cui si chiede se l’espressione sia “come un manto di neve che copra qualcosa o un manto di neve che non copre un bel niente”. Nathan opta per la seconda interpretazione, ma dopo poco tempo, a un raduno di ex compagni di scuola, descritto in modo mirabilmente feroce, tutto cambia e il passato lo cattura nel presente. Esplicito il riferimento a Proust, anche se l’analogia è, a mio avviso, strettamente superficiale e più che altro basata sugli elementi narrativi. Nathan assaggia un farinoso dolcetto della sua infanzia sperando che esso gli faccia lo stesso effetto miracoloso della famosa madeleine proustiana liberandolo così dalla paura della morte, ma invano “Mangiai, dunque, avidamente, ingordamente, non volendo limitarmi, nemmeno per un attimo, nel vorace accumulo di grassi saturi; ma senza avere, infine, la stessa fortuna di Marcel”. In quell’occasione apprende dal fratello che lo Svedese è morto ucciso dal cancro e che la sua vita, carica di certezze e di possibilità, era stata devastata molti anni prima dalla figlia Merry che a soli sedici anni era diventata una terrorista mandando in frantumi, oltre che l’ufficio postale e la vita di una persona, tutta la sua famiglia. La sua vita semplice, comune e quindi bellissima non c’è più, l’inganno è svelato. Nella seconda parte, “La caduta”, la narrazione passa dalla prima alla terza persona, Nathan si immedesima nello Svedese e il suo dramma e ne reinventa la storia. Sono tante le domande che lo Svedese si pone. Dov’è sua figlia? Che fine ha fatto? Soprattutto perché lo ha fatto? Dove hanno sbagliato? C’è la ricerca ossessiva di una causa perché deve per forza esserci una ragione perché le cose accadono. Se sei a posto, se ti comporti bene non può succederti nulla, ma invece le cose accadono e a volte senza alcun senso. "Ecco un uomo che non è stato programmato per avere sfortuna., e ancora meno per l'impossibile. Ma chi è pronto ad affrontare l'impossibile che sta per verificarsi? Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l'incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell'uomo impreparato alla tragedia: cioè la tragedia di tutti." La terza parte, “Paradiso perduto” è dedicata alla celebrazione della pastorale americana, il Giorno del Ringraziamento che rappresenta probabilmente l’unica occasione nella quale i cittadini americani si sentono veramente uguali e si incontrano “per giunta sul terreno neutrale e sconsacrato, quando tutti mangiano le stesse cose…un tacchino colossale che le sazia tutte… Una moratoria sui cibi stravaganti, sulle curiose abitudini e sulle esclusività religiose, una moratoria sulla nostalgia degli ebrei, una moratoria su Cristo. Una moratoria su ogni doglianza e su ogni risentimento per tutti coloro che in America diffidano l’uno dell’altro.” Una celebrazione che di pastorale ha ben poco, non c’è alcuna armonia, quiete o amenità, tutto è dolore, rimpianto, perdita, violenza, inganno. La narrazione alterna la terza persona con un vero e proprio flusso di coscienza perché le domande nello Svedese che assiste alla completa disgregazione di quello che resta della sua famiglia lo martellano fino alla fine. Il mondo perfetto che ha costruito non esiste più, le persone che lo circondano non sono quelle che crede. Non a caso il romanzo si chiude con due domande senza risposta che l’Autore ci lascia “Ma cos’ha la loro vita che non va? Cosa diavolo c’è di meno riprovevole della vita dei Levov?” Lo Svedese è comunque andato avanti, si è rifatto una famiglia e ha cercato di mettere una pietra sul suo passato, rimettendo il coperchio sulla vita di menzogna che gli si era rivelata. Probabilmente senza riuscirci completamente e forse queste domande sono ritornate nella sua mente, come a Ivan Il'ic, quando sapeva di essere al termine della sua vita. Chissà se la pietà che Tolstoj concede al suo personaggio nel momento estremo è stata possibile anche per lo Svedese. Non lo sappiamo, i fatti non ci spiegano tutto e, a questa come alle domande precedenti, ognuno di noi può dare la sua risposta. Probabilmente non c’era niente di sbagliato, un sogno, e non solo quello americano è comunque un sogno, bello, ma tutti prima o poi dobbiamo fare i conti con la nostra “quota di infelicità”. Il difficile è comunque riconoscere che non siamo onnipotenti, che tutto quello che accade non dipende sempre da noi e che dobbiamo avere “compassione” per gli altri e anche per noi stessi. Forse quello che è mancato in questo mondo è proprio l’Amore, anche se “…Levov! Rima con …Love!”.