Carissime amiche vi aggiorno, prima dell’incontro di settembre, sulle mie letture estive. Vi segnalo intanto un altro libro di Camilleri, “Privo di titolo”, appartenente al filone dei romanzi di ambientazione storica e decisamente originale per la sua struttura. Il romanzo è stato costruito su due reali fatti di cronaca e l’Autore intreccia nella narrazione elementi veritieri ed altri frutto di invenzione. La narrazione si apre con un ricordo d’infanzia: siamo nel 1941 a una manifestazione commemorativa di un caduto fascista, ma, rapidamente, il lettore viene posto, in un lunghissimo flashback, dentro la lontana vicenda accaduta vent’anni prima, nel 1921. Questa viene raccontata come se fosse la scena di un film: prima sono introdotti e descritti in modo incisivo i personaggi, poi la storia dell'agguato, una vera e propria “notte degli imbrogli” narrata in modo veramente originale tramite la moviola, i fermi immagine, i campi lunghi, i primi piani, mentre l'io narrante analizza i dettagli della scena che avranno una grande importanza nell'indagine. Alle parti di narrazione, secondo uno stile spesso utilizzato da Camilleri, si alternano documenti, verbali delle interrogazioni, testimonianze, articoli di giornale. Bellissimo in questi documenti l’utilizzo della lingua, una vera e propria “lingua fascista” ricca di retorica esaltatoria e toni propagandistici. E’ un romanzo centrato sulla mistificazione e non a caso, all’interno della vicenda, si inserisce la beffa spettacolare, ingegnosa, quasi surreale della cittadina di Mussolinia, costruita in onore al Duce e che esiste solo nell’illusione di un fotomontaggio. Su tutto però predomina la pietà che accomunale due vittime, l’accusato, innocente e perseguitato, e l’eroe fittizio, inconsapevole e defraudato della dignità di 'semplice morto privo di titolo'. Un consiglio, non perdetevelo!
Ho poi letto “L’armata perduta” di Valerio Massimo Manfredi: alla base di questo libro vi è l’Anabasi di Senofonte che documenta il viaggio che i diecimila mercenari greci che affrontarono il re persiano Artaserse nel IV secolo a.C. che l’Autore, archeologo e docente universitario, ha tradotto oltre ad aver studiato di persona i posti descritti nell’opera greca. Non aspettatevi un’opera letteraria, ma è una lettura piacevole e scorrevole, con una storia di fantasia, basata però su concreti fatti storici, capace di appassionare e di dare emozioni. Se penso alla noia mortale di tradurla al liceo!
La narrazione è particolare perché fatta da una donna, Abira che racconta, attraverso quindi il suo personale e particolare punto di vista, le atrocità della guerra, le insidie della natura, oltre che l’eroismo e l’onore dei “diecimila”. Sono proprio quest’ultimi, nella loro totalità, i veri protagonisti del romanzo.
Infine, per tornare alla letteratura, ho seguito il consiglio di Gloria (troverete il suo commento in un vecchio post) ed ho letto i “Vicerè” di Federico De Roberto, un romanzo che fu considerato dalla critica pesante, poco avvincente e non originale. A me è piaciuta invece la narrazione delle vicende dei principi di Francalanza, incatenati tra loro solo dal privilegio della casta e dalla difesa della loro superiorità sociale; sono descritti infatti mirabilmente, in modo da renderli palpabili, le meschinità, le inimicizie, la bramosia, i conflitti che dilaniano la famiglia. Pervade il romanzo l’immobilità della storia ed il disprezzo per la nobiltà borbonica che si coniuga però all’amaro disincanto per la Nuova Italia (da questo romanzo sicuramente sono stati tratti degli spunti per “Il Gattopardo”): i valori sono comunque la ricchezza, cercare il proprio interesse, raggiungere il potere, calpestando tutto e tutti e, come non si può fare a meno di pensare anche al mondo contemporaneo?
Un bacio a tutte
Rosa