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lunedì 16 giugno 2008

"Il grande Gatsby"

Ho riletto con vero piacere “Il grande Gatsby”, forse il romanzo più famoso di Fitzgerald. Partendo da uno spunto autobiografico, come spesso avviene nelle sue opere, l’Autore descrive l’ambiente dorato dei ricchi di Long Island e delle loro ville al mare attraverso Nick Carraway, l’"Io narrante" che si presenta subito non come protagonista, ma come testimone oggettivo della tragica storia di Jay Gatsby, il suo vicino di casa, un personaggio misterioso, diventato ricchissimo con le illegalità del proibizionismo, famoso per le sue feste colossali. Per chi non ha letto il libro non voglio raccontare la storia, anche perché, riassunta in poche parole, rischierebbe di sembrare banale e non renderebbe giustizia al romanzo che è bellissimo, scritto con una prosa delicata ed efficace che riesce a mescolare sogno, illusione, malinconia. Fitzgerald rappresenta nei suoi romanzi il “mito americano” degli anni che vanno dalla fine della prima guerra mondiale alla grande crisi del 1929, un periodo caratterizzato da grande sviluppo, frenesia di successo, desiderio di onnipotenza, ma allo stesso tempo dalla delusione e dal fallimento. Gatsby incarna questo sogno, è partito dal nulla, ha fatto fortuna ed anche se è una persona disonesta in realtà lo è meno degli altri personaggi, chiusi nella mediocrità, nell’egoismo, nella superficialità. Daisy è una donna priva di speranza, senza sentimento e gioia di vivere, cinica, consapevole dei sentimenti di Gatsby per lei che accrescono la sua vanità, ma incapace di provare vero amore. Il marito, Tom Buchanan, è un uomo dalla doppia morale, per se stesso e per gli altri, abituato a giudicare le persone solo in base ai soldi ed a possedere tutto quello che vuole, siano donne o cose. I due coniugi non si amano veramente e non sono felici, ma di fronte al rischio dello sgretolarsi del loro mondo ritrovano una loro unità, senza curarsi di nessuno “sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva uniti e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto”. Gli “amici” che frequentano la casa di Gatsby pensano esclusivamente a se stessi e non esitano ad abbandonarlo completamente quando non può più offrire loro lusso e divertimento. In questo mondo artificiale viene messa in evidenza la futilità della ricchezza e la sua capacità di distruggere ogni sentimento, ogni autentica felicità. Gatsby invece mantiene una sua profonda umanità, nel rincorrere il suo sogno, il suo amore impossibile per Daisy, per il quale cerca di realizzare la sua esistenza, nell’infrangersi delle sue illusioni, nella sua solitudine: Molto bello l’epilogo in cui Nick guardando prima di partire i luoghi dove si era svolta la storia ricorda il sogno dei marinai olandesi che sull’isola avevano fondato New York e pensa così al sogno di Gatsby "Pensai, mentre meditavo sull'antico mondo sconosciuto, allo stupore di Gatsby la prima volta che vide la luce verde all'estremità del molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter sfuggire più. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle... Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia...e una bella mattina… Cosi continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato."
Ciao
Rosa

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