mercoledì 6 aprile 2011
Letteratura russa
Care amiche, in questo periodo ho letto un pò meno del solito perchè sono stata molto impegnata con il lavoro e sono andata un paio di volte a Roma per alcuni giorni in occasione della laurea dei figli. Ho subito letto dopo il nostro incontro "La morte di Ivan Il'ic" di Tolstoj che mi aveva prestato Marisa. Bellissimo, non perdetevelo! Tolstoj, come sempre, è magistrale nel raccontare la morte al rallentatore di un uomo che scopre di non aver in realtà mai veramente vissuto e si apre solo nell'istante finale alla vita. Ivan Il'ic appartiene alla classe media, ha trascorso un'esistenza tranquilla, ha un buon lavoro, una famiglia, ha raggiunto il benessere economico, ma, improvvisamente, succede l'imprevisto, si ammala gravemente e lentamente si avvia alla morte. Tutto in realtà è già avvenuto, nelle prime pagine viene dato l'annuncio della morte di Ivan e Tolstoj descrive con un'ironia feroce gli atteggiamenti dei colleghi di lavoro in cui primeggia l'egoismo e l'ipocrisia più che il dolore. Si pensa subito ai vantaggi in termine di carriera che si apriranno per qualcuno di loro per il posto di Ivan lasciato vacante, i fastidi di dover porgere le condoglianze alla vedova e di perdere così la consueta partita serale, ma soprattutto "Accidenti è morto; io no, invece" fu il pensiero inconfessato di ognuno. Comincia a questo punto la storia della vita di Ivan Il'ic "la più semplice, la più comune, la più terribile" fino alla scoperta della malattia e all'inizio della sua agonia. Oltre la sofferenza fisica, quello che più affligge Ivan è la solitudine "Piangeva per la propia impotenza, per la propria terribile solitudine, per la crudeltà degli uomini, per la crudeltà di Dio, per l'assenza di Dio", l'impossibilità di condividere il proprio dolore con qualcuno perchè la morte è un tabù che bisogna celare, nascondere in tutti i modi e soprattutto di cui non bisogna parlare. La menzogna prevale e Ivan si rende conto che essa ha dominato tutta la sua vita. Solo con il servo Gerasim che, non mentendo e accettando con semplicità la morte, riesce ad avere pietà del proprio padrone, egli si sente a suo agio e compreso. Alla fine Ivan prova però compassione per la moglie e per il figlio, sperimenta il perdono e allora scompare la paura, non c'è la morte, ma la luce, la gioia. "E' finita! disse qualcuno sopra di lui. Egli sentì quelle parole e le ripetè nel suo animo. E' finita la morte, disse a se stesso". Non so se sono riuscita a rendervi l'idea della bellezza di questo racconto, ma sulla scia delle emozioni che mi aveva suscitato ho letto un altro libro importante della letteratura russa, "Padri e figli" di Turgenev. Il periodo storico è più o meno analogo, un periodo di grossi cambiamenti nella società russa che sta abolendo la servitù della gleba. Questo libro suscitò a livello politico numerose polemiche quando uscì, ma è un vero e proprio capolavoro. Ci sono delle pagine stupende che, pur se ambientate in un contesto culturale e temporale distantissimo da noi, mantengono intatta la propria bellezza e sono ancora attuali. La trama è trascurabile, importanti sono i personaggi e le dinamiche tra di essi. Il romanzo si apre con il ritorno a casa dopo la laurea di Arkadij, accompagnato dall'amico Bazarov. Subito appare la contrapposizione tra i rappresentanti della vecchia generazione (il padre e lo zio di Arkadij) e quelli della nuova (i due giovani), che si accentuerà ulteriormente nell'incontro con i genitori di Bazarov. Questo è il protagonista del romanzo, un nichilista (termine coniato da Turgenev) che rifiuta il passato, il romanticismo, le tradizioni, l'idealismo, la poesia e conta invece sulla scienza e il materialismo. Un personaggio positivo, ma anche con forti negatività. Non vi voglio raccontare la fine del romanzo che però è molto significativa. Voglio invece mettere in evidenza che, pur con le ovvie diversità, il conflitto generazionale è descritto benissimo e con profonda attualità, sia nell'atteggiamento e nei sentimenti dei giovani (la ribellione, la noia, il disagio di trovarsi adulti in un mondo che ti ha sempre considerato un bambino, il bisogno di fare nuove esperienze, ...) che in quello dei genitori (il desiderio di avere i figli vicino, il dolore nell'accettare il loro distacco, la difficoltà di comprendere le nuove idee, ...). Mi ha colpito in particolare una frase della madre di Bazarov rivolta al marito "Un figlio è una fetta staccata via. Lui è come il falco: ha voluto, è venuto, ha voluto, ha preso il volo; e noi due siamo come cantarelli in un cavo d'albero, stiamo l'uno accanto all'altra, e non ci si muove di lì. Solo io rimarrò per te sempre la stessa, come tu per me". Molto bello, da leggere! Ci vediamo il 7!
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