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martedì 25 novembre 2008

Letture di novembre

Le letture di novembre sono dedicate a chi ha pochi spazi da dedicare alla lettura e perciò hanno come denominatore comune la brevità.

Durante questo mese mi è venuto in mente di rileggere Oscar Wilde ed in particolare la componente “fiabesca” della sua opera: le fiabe presenti in due raccolte, Il Principe felice ed altri racconti” e “La casa dei melograni”, ed il bellissimo racconto “Il Fantasma di Canterville”, entrati a far parte della letteratura dedicata ai bambini, ma in realtà una lettura per gli adulti. Apparentemente le storie di Wilde appartengono al genere fiabesco: i personaggi sono quelli tipici delle fiabe, principi, mendicanti, sirene, animali parlanti, …, così come il ritmo ed il tempo della narrazione, ma in realtà della fiaba hanno solo l’atmosfera. Lo stile è quello tipico dello scrittore, raffinato ed elegante, con una prosa bellissima, soprattutto nella prima raccolta; i temi sono più vicini al mondo degli adulti che a quello dei bambini come l’indipendenza dell’arte dalla morale, l’arte come evasione dalla grettezza del mondo moderno, la superiorità della parola sull’azione, la critica sociale. Non c’è il lieto fine, può non esserci una morale e se c’è non è quella che ci aspettiamo. Siamo insomma ben lontani dall’esplicito intento didattico di Andersen. “Il Fantasma di Canterville” è un racconto eccezionale, brillante, con una prosa scorrevole, umoristico, ma senza eccessi, imperniato sull’incontro tra due culture agli antipodi, la vecchia, solida, inamovibile ed imperturbabile realtà britannica contrapposta con la nuova emergente società americana convinta di conoscere la soluzione a tutti i problemi e di poter superare qualsiasi ostacolo. La famiglia Otis, americana, moderna e pragmatica, compra il castello dell’antica famiglia aristocratica dei Canterville compreso il fantasma che lo infesta. Passato e futuro si scontrano, due mondi divisi descritti con ironia, ma alla fine si incontreranno attraverso Virginia, la figlia degli Otis che, comprendendo il fantasma ed il suo dramma, spezzerà una maledizione antica di secoli. Il racconto è quindi giocato e costruito su due piani di lettura paralleli ed allo stesso tempo intrecciati tra di loro: quello della fiaba fantastica (ambientazione, personaggi) e quello della satira sociale e politica. Se non lo avete mai letto vi consiglio di leggerlo perché ne vale la pena!

Sempre restando nell’ambito dei racconti brevi vi faccio altre due proposte. La prima riguarda un breve romanzo di un autore francese, Maxence Fermine, “Neve”, una delicata favola ambientata in un Giappone feudale idealizzato in cui il candore dell’inverno accompagna la crescita artistica e interiore del protagonista, il giovane poeta Yuko Akita. I suoi haiku, antiche poesie di tre versi e diciassette sillabe, sono bellissimi, bianchi come la neve, ma potranno riempirsi di colore solo quando il giovane, scoprirà il colore dentro se stesso. I temi non sono nuovi, la ricerca di se stessi e del senso della vita, il viaggio come momento di ricerca e di crescita, l’amore e la morte, così come alcune affermazioni appaiono un po’ scontate, ma il romanzo è comunque molto bello per l’atmosfera con cui, attraverso i brevi capitoli, questa esperienza interiore viene descritta. Forse merito dello stile, non banale, scorrevole, delicato, fatto anche di sospensioni e spazi bianchi, come avviene in alcune opere poetiche, forse della musicalità delle parole.

Presenta alcuni tratti in comune, “Seta” di Alessandro Baricco: anche qui il Giappone, il mondo delle illusioni rispetto alla Francia che rappresenta il mondo della realtà, il viaggio, l’amore, la morte; anche qui capitoli brevi con frasi corte e ricche di simboli. Il protagonista è Hervè Joncour, un uomo che assiste alla propria vita “osservandola come una giornata di pioggia”. Il romanzo è scandito nello scorrere del tempo da alcune frasi che si ripetono come un filo conduttore, anche il viaggio viene descritto sempre con le stesse immagini, cambia solo il nome del lago Baikal, prima il mare, poi il demonio e l’ultimo, infine il santo. E proprio sulle rive di un lago, dove Hervè vede scorrere la sua vita, si conclude il romanzo.

Ciao, a giovedì

Rosa

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