Care amiche, in attesa del nostro incontro di domani, in corsa vi faccio un breve aggiornamento sulle mie ultime letture. "Il più grande uomo scimmia del Pleistocene" è un romanzo di Roy Lewis, scritto negli anni '60, che narra le vicende di un gruppo di ominidi alla fine del Pleistocene. Anche se non è un libro divertentissimo, come viene spacciato, e l'idea originale dell'Autore viene portata avanti a volte un pò a fatica, con una ripetizione narrativa che in certi tratti lo rende un pò noioso, a mio avviso vale la pena leggerlo perchè, se si ha la costanza di arrivare fino alla fine, ti lascia tantissimi spunti di riflessione. In questo senso è interessante anche la recensione che trovate su questo blog: http://leggichetipassa.blogspot.it/2012/03/il-piu-grande-uomo-scimmia-del.html. L'Autore narra con ironia la storia dell'evoluzione verso l'homo sapiens attraverso la voce di uno dei giovani del gruppo, Ernest: la lotta per la sopravvivenza, la scoperta del fuoco, il matrimonio, ...con vantaggi e difficoltà. Si trovano a confronto due posizioni contrapposte, quella di Edward, il padre di Ernest, che ha dentro di sè una spinta innovativa continua e cerca sempre nuovi orizzonti e quella dello zio Vania (eccezionale la sua descrizione!) conservatore inveterato che si oppone ferocemente al progresso, paventando futuri disastri, pur usufruendone dei vantaggi. Ma il vero problema per Edward non sarà zio Vania, bensì i suoi stessi figli che non accetteranno l'idealismo del padre e considereranno le sue scoperte non proiettate per il bene dell'umanità, ma come fonte di potere per il gruppo. Un libro più profondo di quello che a prima vista può sembrare e dove emerge chiaramente che ancora oggi, pur con la nostra grande evoluzione, sotto molti aspetti, non siamo molto lontani da quel gruppo di ominidi del Pleistocene. Di altro genere "Le prigioni che abbiamo dentro: cinque lezioni sulla libertà", un libro di Doris Lessing che raccoglie un ciclo di lezioni che la scrittrice tenne sul sottile confine tra la libertà e la brutalità, un saggio profondo e un'analisi sociale e antropologica, che si può più o meno condividere, ma è comunque molto accurata, per rispondere ad una domanda antica, ma sempre attuale: "Dove finisce la nostra libertà e dove comincia quella del vicino?". Infine "Mare al mattino", un breve, ma intenso romanzo di Margaret Mazzantini in cui il mare si trova tra due storie di dolore, quella di Jamila che fugge con il figlio Farid dalla guerra civile in Libia e quella di Angelina, che dalla Libia è stata cacciata con la sua famiglia in quanto italiana e che ancora, dopo tanti anni, ne porta le ferite. Non si incontreranno Jamila e Angelina, ma si incontra il loro dolore, entrambe sono vittime dell'odio che, se non viene estirpato dai cuori, porta solo sofferenza e distruzione. Un libro molto bello che intreccia l'attualità con una pagina di storia che si è preferito dimenticare e forse la sofferenza più grande per questi profughi è stata proprio quel sentirsi ignorati dallo Stato e dall'opinione pubblica, come se la colpa di tutto fosse loro: due volte vittime, ma per molti è stato più comodo così.
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